FAQ
Ho deciso di raccogliere in questa pagina alcune tra le domande più frequenti che mi rivolgono i miei pazienti, con le relative risposte. Infatti questi dubbi potrebbero riguardare anche te e chissà che le risposte non ti aiutino a decidere se contattarmi o meno.
1. Bisogna fare per forza l’intervento all’anca?
Se hai già eseguito una visita ortopedica nel corso della quale ti è stato proposto l’intervento, è probabile che questo sia l’alternativa migliore. In alcuni casi rappresenta l’unica scelta possibile per curare la patologia.
Talvolta, invece, è possibile percorrere strade alternative come terapie farmacologiche, infiltrazioni di cortisone, acido ialuronico o medicina rigenerativa che possono permettere di convivere con la patologia. Insieme a queste, anche la fisioterapia e le terapie fisiche possono far parte di un trattamento conservativo. Inoltre, queste ultime possono rientrare anche in un tipo di preparazione all’intervento definito pre-abilitazione, nel quale si sfrutta il periodo delle settimane o mesi che precedono l’intervento per migliorare la condizione fisica, nutrizionale e psicologica del paziente che deve essere sottoposto all’intervento.
In ogni caso, l’unico modo per sapere se l’intervento può essere evitato e se le altre opzioni elencate possono essere valide è fare una visita dal chirurgo ortopedico.
2. In cosa consiste l’intervento?
Nell’intervento di protesi d’anca viene letteralmente sostituita l’articolazione malata.
In realtà, sono le due superfici che si affrontano, cioè l’acetabolo e la epifisi prossimale del femore, ad essere sostituiti. Dopo la preparazione, nell’acetabolo viene impiantata una coppa metallica, all’interno della quale verrà inserito un inserto in polietilene o ceramica che costituirà la nuova cavità articolare (la superficie concava dell’articolazione).
All’interno della parte prossimale del femore, invece, verrà inserito uno stelo. Sull’apice di questo stelo sarà impiantata la testina dell’articolazione (immaginiamola come una sfera), in ceramica o metallo. Infine, quest’ultima (superficie convessa dell’articolazione) scorrerà all’interno della coppa quando la coscia si muove. Ecco la nuova articolazione sostituita.
3. L’intervento è mininvasivo?
Sì. La mininvasività si riferisce al rispetto dei tessuti durante l’intervento (le fasce, i muscoli, i tendini e l’osso stesso).
Tuttavia, non bisogna confonderlo con il concetto di mini-incisione: un’incisione più piccola può far parte di un approccio mininvasivo, ma non stiamo parlando della stessa cosa.
L’incisione eccessivamente piccola può essere una fonte di complicanze: i tessuti retratti e divaricati strenuamente durante l’intervento possono soffrire, e questo nel caso di danno muscolare può portare ad un danno funzionale con perdita di forza ed ossificazioni, mentre la sofferenza della cute può causare un ritardo di guarigione della ferita con risultato estetico peggiore ed aumento del rischio di infezione. Inoltre, una incisione troppo piccola può ostacolare il corretto posizionamento delle componenti protesiche, compromettendo l’intervento o condizionandolo in senso non ottimale.
Abbiamo la possibilità di utilizzare suture invisibili all’esterno per ottenere un risultato estetico ottimale. La guarigione della cicatrice nei primi interventi di anca è eccellente nella maggior parte dei casi, anche con sutura tradizionale. Ad ogni modo, il tema della lunghezza dell’incisione è molto legato anche alla corporatura del paziente.
Ultimo concetto, non per importanza, è che l’intervento mininvasivo non coincide con una specifica via di accesso (anteriore, anterolaterale, laterale, posterolaterale, posteriore) piuttosto che un altro. Allo stato attuale, non esiste una dimostrazione scientifica accettata dagli esperti che un approccio sia superiore all’altro. Ciascun approccio ha i propri vantaggi e svantaggi e può essere praticato in maniera meno invasiva e con risparmio dei tessuti. Quindi, la scelta giusta, non è andare alla ricerca del chirurgo che utilizzi quella particolare tecnica piuttosto che un’altra, ma del chirurgo più competente ed adatto a trattare il vostro specifico caso.
4. Quanto dura l’intervento?
La durata dell’intervento è di circa un’ora per un caso convenzionale.
Alcune variabili che possono determinare una aumento dei tempi operatori sono: la fissazione dell’impianto con cemento (laddove indicato), la corporatura del paziente (es. paziente obeso o particolarmente muscoloso), la complessità del caso.
L’intervento si svolge quasi sempre in anestesia loco-regionale (spinale): le gambe saranno addormentate quindi non si sentirà dolore né si potrà muoverle durante l’intervento. Questo significa che si sarà svegli durante l’intervento.
Spesso viene associata una sedazione, che dà la possibilità di dormire durante l’intervento. In alcuni casi è necessario eseguire l’intervento in anestesia generale con una intubazione orotracheale. È sempre opportuno discutere di questi aspetti con l’anestesista o durante il pre-ricovero o al momento del ricovero in reparto.
5. Quanto dura la degenza?
La degenza è generalmente tra le 3 e le 5 notti post-operatorie.
Questo perché con i protocolli di recupero rapido (che si possono trovare con varie nomenclature inglesi, come ad esempio rapid recovery, fast-track, enhanced recovery after surgery) il paziente deambula con le stampelle assistito dal fisioterapista già il giorno stesso dell’intervento o il giorno dopo.
Progressivamente dovrà acquisire autonomia nei passaggi posturali (alzarsi e sedersi da solo, mettersi a letto). Due giorni dopo gli sarà insegnato come salire e scendere le scale. A quel punto, se il decorso è regolare, gli esami ematici sono buoni e le condizioni del paziente sono buone, si procederà alla dimissione.
6. Come funziona la fisioterapia dopo l’intervento?
La fisioterapia inizia in reparto già da subito, come descritto in precedenza. Una volta raggiunti gli obiettivi, e quando il paziente può essere dimesso, la situazione varierà a seconda del caso specifico: non tutti i pazienti sono uguali e non tutti gli interventi sono uguali (per quanto la procedura di fondo rimanga la stessa).
Per molti pazienti, autonomi e con una rete familiare presente, è possibile tornare direttamente a casa dopo l’intervento. Qui potranno eseguire gli esercizi appresi in reparto seguendo lo schema consigliato dai fisioterapisti.
Nel corso della visita di controllo a 2 e 6 settimane dall’intervento sarà possibile valutare i progressi raggiunti e prevedere eventuali correttivi.
Per alcuni pazienti, ad esempio per i più anziani o con particolari difficoltà motorie o che vivono da soli, è possibile prevedere un trasferimento presso una clinica riabilitativa dove proseguire una riabilitazione più intensiva che permetta di rientrare a casa in un secondo momento con maggiore autonomia. Esistono ulteriori possibilità (fisioterapia in day-hospital, ambulatoriale, domiciliare etc) che andranno discusse caso per caso.
In conclusione, allo stato attuale spesso non è necessario un ricovero in struttura riabilitativa dopo l’intervento. Quest’ultimo viene riservato a pazienti selezionati. Il progresso delle tecniche chirurgiche, anestesiologiche, di prevenzione del sanguinamento e di recupero post-operatorio ha reso, come visto in precedenza, la degenza molto più breve rispetto al passato (nell’ambito dei protocolli nominati in precedenza).
Purtroppo, alcuni pazienti scambiano questo aspetto come incuria e si sentono trascurati rispetto ad altri (il vicino di letto, la vicina di casa che ha fatto l’intervento qualche mese prima, il parente operato per lo stesso motivo altrove).
L’interesse del medico è quello di curare al meglio il paziente, anche andando controcorrente rispetto a convinzioni radicate. È auspicabile che una informazione più corretta possa aiutare in questo senso.
7. Quanto dura una protesi d’anca?
I dati a disposizione sono favorevoli. La protesi è un’articolazione artificiale, che pertanto non ha una durata infinita. Tuttavia, questi dati mostrano che le protesi impiantate alcuni anni fa, dai 10 ai 20 anni dopo l’intervento, erano ancora al loro posto.
Le protesi che si impiantano oggi, invece, con i nuovi materiali a disposizione, in particolare il polietilene altamente reticolato e la ceramica, hanno una resistenza all’usura di gran lunga maggiore rispetto al passato. Per questo motivo, è ragionevole attendersi che la durata delle protesi attuali possa superare i 20-25 anni (non abbiamo ancora i dati a disposizione relativi ai nuovi materiali che sono stati introdotti negli ultimi anni).
Un paziente adulto o anziano che si sottopone all’intervento potrebbe non avere mai la necessità di sottoporsi ad un nuovo intervento per sostituire in parte o tutta la protesi.
Per un paziente molto giovane, il discorso è un po’ diverso, ma alcuni accorgimenti possono ridurre di molto il rischio di dover sostituire la protesi nel corso della vita.
Rimanere in attività (evitando le attività ad alto impatto), mantenere un peso adeguato, eseguire regolarmente i controlli previsti annualmente o con la cadenza indicata dal chirurgo, consente di mantenere la protesi in salute.
Oltre all’usura, altri motivi per cui potrebbe essere necessario reintervenire su un’anca già operata sono l’infezione, la mobilizzazione delle componenti, la frattura periprotesica.
8. Quando posso tornare a guidare dopo l’intervento?
La risposta è da adattare al singolo paziente.
Mediamente, i pazienti riprendono a guidare tra le 4 e le 12 settimane dopo l’intervento.
Il primo fattore da considerare è quello prudenziale: finché non ci si sente sicuri e la prontezza dei riflessi non è ottimale, è meglio non guidare.
È importante porre attenzione, quando indicato, all’altezza del sedile ed alla posizione dello schienale, ed al momento della salita o discesa dalla macchina.
Fattori che possono rallentare la ripresa alla guida, oltre all’insicurezza, sono l’intervento effettuato sul lato destro e l’uso del bastone prima dell’intervento.
Per i pazienti operati all’anca sinistra e dotati di veicolo con cambio automatico, la ripresa è sicuramente agevolata. Esiste poi un discorso di tipo assicurativo legato ad eventuali sinistri, che esula da argomentazioni di tipo clinico.